giovedì 11 giugno 2015

2 storie d'amore tra donne (molto diverse) che mi hanno cambiata.

1) La vita di Adele
Il film, vincitore della Palma d'oro a Cannes nel 2013, è il diario segreto di Adele, studentessa e aspirante maestra d'asilo. La sua vita si intreccia con quella di Emma (Léa Seydoux), studentessa di Belle arti più grande di lei. 
Kechiche (regista di Cous Cous e Venere Nera) sembra aver fatto suo il principio kubrickiano di adattare al cinema opere minori, anche se forse le opere minori scelte dal regista di "2001: Odissea nello spazio" , erano già in partenza più interessanti. "La vie d'Adele" è tratto da un Graphic novel di Julie Maroh, "Blu è un colore caldo", che ha una buonissima idea di base ma un segno grafico e uno sviluppo non troppo pregnanti.
Si è discusso a lungo delle scene di sesso di questo film, ritenute da molti, come dalla stessa autrice del Graphic novel, crude e non necessarie. Vivendo in una società abituata a mostrare ciò che non ha urgenza di essere mostrato e in cui la nudità è esibita gratuitamente, il realismo cinematografico dei corpi di questo film e l'atto sessuale a me non risultano gratuiti e scontati, ma pura incandescenza. Carnalità senza morbosità. L'obiettivo volteggia costantemente sul 
corpo della giovane protagonista, che pian piano diventa donna, traghettata da un libro di Marivaux (La vita di Marianna) e da questo sentimento totalizzante ed impetuoso. Adèle Exarchopoulos è Adele. E lo è totalmente, intensamente, in modo viscerale, da vera fuoriclasse del cinema. Non si può nemmeno parlare di interpretazione. Lei non interpreta, è. Questa giovane attrice (quasi) esordiente  regala al film di Kechiche una potenza emotiva che ha spedito sotto la poltrona più di uno spettatore. L'imbarazzo per le scene di sesso maschera un altro imbarazzo, quello che si sente crescere quando ci si rende conto, alla fine del film, che l'amore non è tranquillità o passione travolgente, conforto, confronto, ricerca di sé o comprensione, ma che è guardare da vicino i limiti dell'uomo.

2) Pomodori verdi fritti (alla fermata del treno), è un film del 1991 diretto da Jon Avnet e tratto dall'omonimo romanzo di Fannie Flagg, che si è occupata anche della sceneggiatura. Non so bene quali parole usare per descrivere questo film, in cui la dimensione narrativa prevale totalmente su quella cinematografica, al contrario de  "La Vita di Adele". Così userò meno parole possibili.
Ruth e Idgie si conoscono nel dolore. Inizialmente non si sopportano, ma nel giro di un'estate, tra queste due ragazze, in cerca ognuna della propria libertà, nasce un'amicizia unica, totale, una grande storia d'amore (amore fraterno, in un certo senso anche platonico) che solo tra donne può crearsi. Insieme gestiscono un locale, il Whistle Stop Cafè, luogo di racconti, gialli, vite che si incrociano. La loro storia si lega anche a quella di un'altra donna speciale, (interpretata dal premio Oscar Kathy Bates) che però, ahimè, è affrontata un po' più frettolosamente. Se volete scoprire cosa sono i pomodori verdi fritti del titolo e come vanno serviti , non vi resta che guardarlo.
Tirando le somme, si può dire che questi film mi abbiano lasciato sensazioni analoghe ma in certo senso differenti. Il primo toglie, scava, mi sottrae dei pezzi, mi lascia vuota, esterrefatta, consapevole dei miei limiti (non so se avete presente questa sensazione, non è negativa come si potrebbe evincere dagli aggettivi che ho usato). Il secondo regala, aggiunge, arricchisce, dona speranza, la speranza di superare quei famosi limiti.

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